SCRITTURA E CECITÀ
E’ possibile che la cecità talvolta aiuti a “vedere” meglio?
“La cecità mi ha reso libero. Non devo più vedere la mia faccia da imbecille”
Le frasi sopra menzionate sono estratte da un’intervista che vede come protagonista Andrea Calogero Camilleri quando quest’ultimo stava per compiere 93 anni; dalle sue frasi sembra quasi che con l’avvento della cecità, quando l’acuità visiva risulta compromessa e inferiore a determinati valori, egli non abbia perso lo stimolo e la voglia di fare ciò che lo ha accompagnato per un vita intera anzi, superato un primo periodo di squilibrio, decise di rivedere le sue abitudini in una chiave nuova, sopratutto quella che concerneva la stesura di testi di modo che potesse continuare a cibarsi di ciò che amava di più attraverso però il nuovo e differente modus operandi.
Nella casistica di Camilleri lo scoglio più grande da superare era quello della lingua che utilizzava per la stesura delle sue opere infatti l’autore ha scritto per un’intera vita in vigatese ovvero quel dialetto siciliano che più si avvicinava alla città di Vigata, luogo immaginario che fece da background per la narrazione di vicende come quella del Commissario di polizia Montalbano.
Come fare per affrontare questa nuovo sfida?
Camilleri, come già precedentemente accennato, sembra non perdersi d’animo anzi approfitta dell’avvento della cecità per “vedere” le cose sotto una nuova luce e sopratutto uno degli step più importanti che glielo permise fu sicuramente la capacità e volontà di affidarsi quasi del tutto a coloro che lo hanno maggiormente affiancato nel corso della sua vita, per esempio, Valentina Alfieri la quale ebbe un ruolo di svolta dopo che la vista lo abbandonò.
Andrea Camilleri racconta di aver colmato il buio che lo circondava per mezzo della sua fervida immaginazione composta da un universo di colori fantastici che in qualche modo andavano ad alleviare la sofferenza iniziale di non poter più ammirare ciò che per tutta la vita lo aveva in qualche modo stimolato.
Per illuminare parte delle sue giornate l’autore si è appunto servito dell’importante figura di Valentina Alfieri, colei che per sedici anni lo affiancò e che fra pochi era in grado di comprendere il vigatese e di conseguenza di scrivere sotto dettatura i testi e talvolta anche correggere le bozze per conto dell’illustre, insomma si è dimostrata, a quanto ha riferito Camilleri, la sua ancora di salvezza.
Questa è la rappresentazione di come un limite apparente possa in realtà essere la svolta per divenire, come nel caso di Camilleri, un individuo più riflessivo e che si concede uno spazio più ampio da dedicare a momenti di riflessione.
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